La leggenda di Canterbury ha inizio in una cantina. Robert Wyatt, nato a Bristol, emigrato a Dulwich (un quartiere di Londra) e stabilitosi a Canterbury, al principio degli anni '60 passa le giornate frequentando la "Simon Langston School" e le serate con i compagni di scuola Pye Hastings e Richard Coughlan a suonare nello scantinato di casa. Nascono cosi` i “Wilde Flowers”, gruppo dilettantistico che riflette la passione del leader per il rhythm and blues e il jazz.
La formazione si stabilizza nel 1962 con Robert Wyatt, i fratelli Brian e Hugh Hopper e Richard Sinclair. Dall'Australia intanto e` arrivato Daevid Allen, gia` poeta e autore teatrale a Melbourn, nonche' studente d'arte, fresco reduce da un'esperienza parigina in cui ha suonato jazz e ha composto musiche per William Burroughs. Influenzato dal piu` esperto e smaliziato Allen, l'adolescente Robert Wyatt decide di seguirlo a Parigi, abbandonando i Wilde Flowers nelle mani di Ayers.
Nel 1963, Daevid, Wyatt e Hugh Hopper formano il “Daevid Allen Trio”, la cui musica è basata sul jazz. La registrazione di un loro concerto al Marquee Club di Londra, a cui partecipa come ospite Mike Ratledge alle tastiere, verrà pubblicata nel 1993 dall'etichetta Voiceprint Records con il titolo Live 1963.
A Parigi nel frattempo Wyatt e Allen vengono raggiunti da Hugh Hopper e quando i tre parigini fanno ritorno in patria, travasano la loro esperienza nei "Wilde Flowers", improntando lo stile verso l'improvvisazione e il dada-rock per intellettuali raffinati.
Nel 1965 torna da Oxford, Mike Ratledge che riesce a dividere il gruppo in due: da una parte i "Soft Machine" con Ratledge (tastiere), Wyatt (batteria), Allen (chitarra), Ayers (basso), e dall'altra i “Caravan”, con Hastings, Coughlan e i Sinclair.
Nella primavera del 1966, Allen ed Ayers convincono il milionario americano Wes Brunson a finanziare il progetto Soft Machine.
La prima formazione è del maggio del 1966 e comprende Kevin Ayers (basso), Robert Wyatt (batteria e voce), Daevid Allen (chitarra) e Mike Ratledge (tastiere). Al gruppo si aggrega come road manager anche Hugh Hopper, che partecipa suonando alle prove e componendo alcuni dei loro brani. All'inizio si fanno chiamare “Mister Head” ed è nell'agosto dello stesso anno che prendono il nome Soft Machine.
Nel gennaio del 1967 vengono scritturati assieme ai Pink Floyd di Syd Barrett per suonare al celebre UFO Club di Londra, e nello stesso mese registrano per la Polydor il primo 45 giri: Love Makes Sweet Music. Il 22 febbraio allo Speakeasy Club di Londra sono il gruppo spalla della Jimi Hendrix Experience e lo stesso Jimi si unisce a loro suonando il basso.
Allen fa ascoltare la registrazione del concerto al produttore Giorgio Gomelsky il quale, entusiasta, nell'aprile del 1967 produce una serie di demo che saranno però pubblicati solo nel 1972 con il titolo Faces And Places Vol.7 (in altre edizioni At the Beginning e Jet-Propelled Photographs), in quello che avrebbe potuto essere il loro primo LP. Diventano in breve una cult band della scena londinese.
Al ritorno in Inghilterra Daevid Allen non ha il passaporto in regola e deve rimanere in Francia, dove dara` vita ai “Gong”.
I tre superstiti si aggregano a Jimi Hendrix (reduce dal trionfo del primo singolo) e ne seguono l'avventura in terra americana.
Apprezzati dal produttore Tom Wilson, i Soft Machine registrano su suolo straniero il loro primo album: Soft Machine 1 (1968). Di Allen non c'e` piu` nulla, domina Ayers e il piu` timido e` Wyatt. Le canzoni profumano di beat, ma anche di psichedelia, di Oriente, di jazz all'acqua di rose.
Prima che l'album esca, nel 1969, i Soft Machine hanno fatto in tempo a sciogliersi e a ricostituirsi, senza Ayers e con Hugh Hopper al basso.
Il secondo album “2” (1969), e` appannaggio dei due membri fondatori superstiti, una facciata ciascuno: a Wyatt la prima, a Ratledge la seconda.
Nel 1970, mentre Allen e Ayers scorazzano gia` per conto proprio, Wyatt e Ratledge sono ancora alle prese con la Soft Machine: il suono promettente dei dischi d'esordio non ha fruttato ne` soldi ne` fama, ma le esibizioni dal vivo dell'epoca, con un cast di sei-sette elementi, attirano l'attenzione del pubblico piu` emancipato e della critica. Nonostante la scarsa credibilita` presso i discografici, i Soft Machine riescono a registrare un album doppio: “Third“ (1970), documento fedele della grande stagione creativa dei tre, a cui si sono aggiunti in tournée personaggi come il sassofonista Elton Dean, il clarinettista Jimmy Hastings e il trombonista Nick Evans, membri dell'orchestra pseudo-jazz di Keith Tippett.
Fiati e tastiere prendono il ruolo dominante che era stato della batteria. I brani si allungano e si scrollano di dosso gli orpelli surreali. L'iniezione di serieta` s'intravede anche nell'assimilazione di certe tecniche ripetitive e improvvisate dell'avanguardia.
Seguono: Fourth (1971) dopo l'uscita Wyatt lascia il gruppo e viene sostituito con il batterista dei Nucleus, John Marshall, e la formazione si stabilizza con Ratledge, Hopper, Dean, Marshall. Fifth (1972), e` opera di Ratledge e di Dean. Nello stesso anno se ne va anche Dean, lasciando il posto al tastierista Karl Jenkins (ex-Nucleus), cosicche' il sesto album: Six, (1972) e` in gran parte di Ratledge, anche se le cose migliori le fa Hopper. L'album e` doppio, meta` dal vivo e meta` in studio. Hugh Hopper ha pero` pronto il suo primo album solista e lascia i Soft Machine.
Su Seven (1973), con l'ingresso di Roy Babbington al basso, il complesso arriva ad ospitare tre ex-Nucleus. Bundles (1975), con l'aggiunta del chitarrista Allan Holdsworth, contiene Hazard Profile una suite in cinque parti, ma il sound non e` piu` neppure parente dei vecchi Soft Machine.
Nel 1976 anche Ratledge abbandona e la line-up del loro ultimo album ufficiale in studio: Softs (1976), con Jenkins, Babbington, Marshall, il chitarrista John Etheridge e il sassofonista Alan Wakeman, non contiene alcun membro fondatore.
Gli ultimi concerti vengono tenuti a Londra nel 1984 dopodiché i Soft Machine si sciolgono definitivamente.
(CBS, 1970) e` un album doppio, organizzato in quattro lunghi brani. Ratledge firma Slightly All The Time (2 brano), bel tema jazz svolto con scalmanate galoppate e adagi boccheggianti di tastiere e cortei di sax sanguigni; e Out Bloody Rageous (4 brano), brano di ispirazione minimalista strutturato come una serie di variazioni sul tema, con impeccabili cambi di guida fra tastiere e fiati, manifesto della fredda razionalita` elettronica dell'organista.
Hopper firma Facelift (1 brano), un tema fortemente ritmato che si scioglie in nuvole di orientalismi, vivacizzato dagli intermezzi fiatistici: nella prima parte un disarticolato incrocio di sax soprano, sax alto e trombone, assonnati e miagolanti, nella seconda un flauto swing incantatore che vaneggia sul rombo in agguato del basso, una baraonda di sax alto alla fine.
Questi tre brani danno la misura del balzo tecnico compiuto dal complesso. L'organo vivace ed hendrixiano di Ratledge si e` trasformato in un freddo strumento jazz-rock, la batteria non ha piu` quegli accessi di follia patafisica, e un uso quasi estetico dei fiati li integra con classe nelle lunghe improvvisazioni collettive. Un grigio senso di maturita` aleggia sulla tecnica professionale messa in mostra in ogni solco dai musicisti. Il nuovo sound e` radicato nelle due grandi novita` dell'avanguardia americana dell'epoca: il minimalismo di Riley e il jazz-rock di Davis.
Wyatt e` autore ed esecutore (suona tutte le tastiere) della splendida Moon In June (3 brano), uno dei massimi capolavori del rock inglese, il brano che lo rivela grande compositore e arrangiatore oltre che geniale batterista e cantante inimitabile, insomma musicista completo. La sua ispirazione non e` cosi` moderna come quella di Ratledge, poco jazz e meno ancora avanguardia; ma Wyatt e` dotato di una fantasia e una umanita' che suppliscono abbondantemente alle deficienze scolastiche. Lo spunto di Moon In June e` strettamente melodico, vicino al soul, ai mantra e alle canzoni ondeggianti della psichedelia, ma con un tono languido e dimesso che fa pensare a uno chansonnier anemico o trasognato. I cambi repentini di ritmo e gli estatici crescendo delle tastiere, i deliqui in fil di voce, le impennate solenni, conferiscono alla musica un tono quasi epico, ma soprattutto perdutamente malinconico. Qua e la` riaffiorano i divertimenti dada, un canticchiare nonsense sommesso e uno spezzettare il motivo con un ritmo irregolare. Moon In June e` un canto libero che tastiere e batteria si sforzano di seguire nelle sue magiche evoluzioni. La fine arriva dopo il concitato intermezzo strumentale, attraverso rumori tastieristici, linee di basso incalzanti, le note minimali di un piano stentoreo sugli ultimi agonizzanti fonemi in falsetto. Questo lungo finale strumentale riporta alla grazia seducente dei primi giorni patafisici, col tono surreale e umoristico che sara` sempre il tono fondamentale della musica di Wyatt.
Con questo brano i Soft Machine escono dalla storia dei generi per entrare in quello della musica totale. A filtrare il suono si possono trovare tracce di stili e modi fra i piu` abusati, ma, come nelle migliori opere della transavanguardia, tutto viene assimilato in una visione personale dell'arte.
Elton Dean, che diventa membro stabile, ha influenzato molto lo stile di questi Soft Machine.
Tutti i brani, meno forse quello di Wyatt, risentono di un' ispirazione jazzistica piu` marcata rispetto ai dischi precedenti. Ratledge intanto ha preso il comando, esautorando in parte Wyatt. D'altronde il batterista e` in procinto di lasciare il gruppo in balia del freddo cerebro del tastierista e del sax invadente dell'ultimo arrivato.
Tracce:
1. Facelift (Hugh Hopper)
2. Slightly All the Time (Mike Ratledge)
3. Moon in June (Robert Wyatt)
4. Out-Bloody-Rageous (Mike Ratledge)
Formazione:
-Hugh Hopper - basso
-Robert Wyatt - batteria, voce
-Mike Ratledge - organo, pianoforte
-Elton Dean - sax alto, saxello
-Rab Spall - violino
-Lyn Dobson - flauto, sax soprano
-Nick Evans - trombone
-Jimmy Hastings - flauto, clarinetto
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